Perché non vediamo in tempo ciò che sta accadendo?

di Enrico Euli, ASPO-Italia 5, Firenze, 28 ottobre 2011

Perché non vediamo in tempo ciò che sta accadendo?
In una scala usata da Nick F. Pidgeon e Barry A. Turner in Disastri (la responsabilità dell’uomo nelle catastrofi, Edizioni di comunità, 2001) si individuano quattro stadi:

  1. innesco normale
  2. fase di incubazione
  3. evento precipitante
  4. innesco

nel periodo di incubazione quasi tutti gli elementi che accadono restano inosservati: gli eventi accadono ma la nostra percezione ha una soglia troppo alta per rilevarli. Il problema della scarsità di cui si parlava prima non è legato alla scarsità materiale concreta, ma sarà legato sempre di più alla percezione della scarsità e il panico sarà generato più dalla percezione che dalla scarsità effettiva.

E’ quindi un problema che diventerà sempre più grande se non lo affronteremo diversamente rispetto alle nostre tradizioni che hanno strutturato la società occidentale.
E’ necessario un cambiamento di tipo due (cambiamento di atteggiamento mentale) che sappiamo essere molto complesso di un cambiamento di tipo uno (cambiamento relativo a singole opinioni o a singoli comportamenti).

Da questo punto di vista la complessità del passaggio è tragica.
Farò alcuni esempi delle nostre abitudine mentali che fino ad ora ci hanno permesso di sopravvivere svolgendo una funzione adattativa fondamentale. Soltanto che, nella nuova fase, le nostre capacità adattative e auto conservative saranno dei boomerang formidabili.

Siamo neghentrofagi, mangiatori di ordine

La specie umana viene definita una specie mangiatrice di ordine. La specie umana, per sua struttura mentale, tende a privilegiare a prediligere in modo ossessivo l’ordine rispetto al disordine. Tutti gli effetti di disordine vengono quindi immediatamente soppressi con la conseguenza che la capacità di leggere e gestire il disordine è molto ridotta mentre siamo bravissimi a vedere l’ordine anche dove non c’è.
Se abbiamo una netta preferenza per ordine, controllo, sicurezza, questi, saranno (e già lo sono) termini che nei prossimi anni avranno sempre più peso. Siamo dentro un modello della sicurezza che non a caso è condiviso da tutti gli schieramenti politici e questo è parte del problema e non della soluzione.

La preferenza per l’ordine e il controllo non ha nulla di complesso, non ha a che vedere con la razionalità di tipo complesso perché in una razionalità complessa non vi può essere una preferenza per l’ordine rispetto al disordine. L’ordine e il disordine, in una razionalità complessa, collaborano alla costruzione della stabilità e dell’equilibrio, insieme.
Paul Valery diceva: “due pericoli minacciano continuamente il mondo: l’ordine e il disordine”.
Questa è una visione complessa della realtà, solo che la specie umana si è allenata a preferire l’ordine. E’ chiaro che preferendo l’ordine anche i segnali catastrofici o dei disordini vengano rimossi.

Per altro questo si scontra con quanto diceva Gregory Benson: “le cose finiscono sempre in disordine” cioè il disordine è sempre più probabile dell’ordine. Da ciò nasce l’ansia di ordinare il disordine. Partiamo dal fatto che da questo punto di vista l’essere umano porta tecnologia: fa un tentativo anti ecologico rispetto all’equilibrio ecologico tra ordine e disordine. Cerca di apportare, da sempre, delle forme di neghentropia eccessiva per salvaguardare la propria specie il proprio ordine di specie a discapito dell’ordine ecologico. Su questo ci rende un poco facile percepire gli elementi di disordine man mano li incontriamo perché anche se li notiamo tendiamo ogni volta a rassicurarci dentro ordini psicologici finti, falsi, illusori, ma che funzionano, per conservarci.

Questa questione si riallaccia all’altra nostra mania, quella di favorire la rimozione del dolore. Tutta la psicologia ci racconta che stare in una situazione depressiva è molto faticoso. Accettare il fatto che il dolore esiste, che io posso morire… vedete come ridevamo quando la Foss diceva che tra cinque anni il mondo che conosciamo sarà collassato… il ridere è una reazione tipica della conservazione da rimozione. Ci permette di poter dire “si va be’, ma tanto noi sopravvivremo” noi non crediamo alla nostra morte, noi non crediamo all’estinzione della specie o alla crisi catastrofica dell’occidente perché abbiamo la struttura da struzzo: cioè la rimozione, fino ad ora, ci ha permesso di sopravvivere.
Funziona come la chiusura dei ricci. I ricci, prima che esistessero le automobili, si chiudevano a riccio e si salvavano, rimuovevano tutti i pericoli stando belli chiusi. Ma nella nuova situazione contestuale il fatto che si chiudano a riccio non li salva, ma causa la propria morte: è il modo migliore per essere investiti, infatti ne troviamo centinaia.

Questa metafora la uso perché vale per l’umanità. L’umanità si sta chiudendo a riccio anzi più entra in crisi e più tende ad autorassicurarsi, più tende a costruire ambiti di sicurezza per se stessa, per piccoli gruppi di sé, questo porterà all’estinzione accelerata anziché favorire i processi di cambiamento in termini di apprendimento e cioè di non rimozione del problema.

Noi oggi siamo in una situazione ancora più complicata: siamo davanti a un tipo di ignoranza che si può definire ignoranza di secondo livello. Cioè siamo incapaci o raramente capaci di apprendimento nel secondo livello, ma siamo molto capaci di ignorare il secondo livello. Siamo degli homo sapiens insapiens.

Noi oggi fingiamo di non sapere ciò che sappiamo. Il problema dell’informazione oggi è molto delicato. Non ci mancano le informazioni, ma i processi di cui sopra ci portano a rimuoverle e ci portano a negare di saperle o se anche le sappiamo questo non implica dei cambiamenti, perché le nostre emozioni tendono a ridurre l’effetto critico.
Per es. per definire la totale catastrofe dell’università il mio rettore usa termini del tipo “emergono delle criticità”. Oppure il termine “siamo in default” che non fa intendere di essere in un posto che puzza. Se usassimo un altro tipo di parole capiremmo dove effettivamente siamo.

Questo tipo di parole, molto usate dal mondo dell’informazione, ci fanno capire che la rimozione è proprio alla base. Cioè si pratica una costruzione sociale dell’ignoranza di secondo livello. L’ignoranza di secondo livello è pericolosissima perché non può essere inficiata da informazioni di primo livello. Io posso ricevere anche tutte le informazioni come quelle che abbiamo sentito questa mattina, tutte di primo livello, ma al secondo livello io continuo a rimuovere. Anzi, a maggior ragione rimuovo, perché non avendo ancora ristrutturato, essendo ancora analfabeta al livello due, non posso reggere quel pensiero. E non potendolo reggere, non possiamo nemmeno condividerlo socialmente, perché la nostra società tende ad accentuare e anche a ridurre ulteriormente a quelle poche persone che provano invece a non usare “default” e a dire siamo nella merda, vengono subito messe in un angolo perché costituiscono un pericolo sociale, tendono a togliere a questa società quella cornice di finta sicurezza nella quale viviamo giorno per giorno. Su questo cito solo la frase di Andrea Zanzotto:

«Può essere, molto semplicemente, che non si voglia credere alla catastrofe, già ampiamente provata, perché è più comodo ingannarsi, illudersi. Oggi sembrano tutti sopraffatti dal fascino dell’auto inganno. E finiscono per voler lucrare anche sul proprio funerale».

Il punto da cui dobbiamo partire è il seguente: dobbiamo considerare la nostra società sostanzialmente tossicodipendente, fondata sull’idolatria religiosa del consumo e del denaro.
Avendo questo tipo di mitologia religiosa dovremmo considerare in primo luogo coloro che gestiscono il sistema mondo – come i banchieri – coloro che hanno in mano l’economia del mondo, la finanza etc. come tossicodipendenti. Cioè dovremmo curarli come malati. Il bello è che invece sono dei riferimenti: invece di viverli con implicazione negativa li viviamo con implicazione positiva come accade in tutte le idolatrie religiose, dove i folli sono sempre i riferimenti di eccellenza. Uno diventa gran sacerdote se è molto più folle degli altri sacerdoti. La domanda è: come hanno fatto le popolazioni a seguire i grandi sacerdoti, la Chiesa, gli Inca i Maya gli Aztechi … Come mai hanno seguito, hanno fatto vincere i più folli? E’ una domanda molto inquietante per l’umanità, ancora oggi noi sappiamo chi ci governa! Ma non è casuale tutto questo. Non è casuale che i processi di identificazione psicologica avvengono presso coloro che soddisfano le nostre parti negative che favoriscono la rimozione. Perché favorire la rimozione (la crisi non c’è, tutto va bene…) crea solidarietà sociale, crea voti, immediatamente!

Infatti l’attuale crisi di governo non nasce dal fatto che continuano a far porcherie, ma nasce dal fatto che non riescono più a garantire quell’illusione, cioè è la crisi dell’illusione ottimistica a creare la crisi di governo attuale, in tutto il mondo. Non possono più mettere illusioni, la depressione dilaga… basta vederli i capi di governo oggi: la faccia è terrea, B. fa paura, non bastano più neanche gli svaghi!

Abbiamo risolto il problema alcolistico di Bush junior dandogli la possibilità di bombardare il mondo. Vorrei conoscere lo psicologo, perché sarebbe stato molto meglio se fosse rimasto un problema famigliare gestito solo dalla moglie. Invece ha risolto i suoi problemi bombardando il mondo. Questa può essere una soluzione?
Tasferire una sindrome psichica da un individuo, alla famiglia, al cosmo, non si può dire che sia una cura. Persone così devono essere protette da bambini! Non possiamo aspettare che sviluppino la loro follia e trovino anche delle masse che li accolgono!

Spendiamo milioni $/ora in guerre, armamenti, perché non se ne parla?
La militarizzazione, se voglio mantenere questo modello, è indispensabile per poter gestire questo mondo.
Non avendo nessuna volontà e nessuna capacità di fare cambiamenti a livello due e dovendo restare al livello in cui siamo l’unica possibilità è continuare a finanziare la guerra. Coltivano ancora oggi l’illusione che la militarizzazione del problema è l’unica possibilità di gestione.

Quando Maroni ci parlo del terrorismo urbano sta già aprendo esattamente questo capitolo. Il tema delle democrazie occidentali è come si trasformeranno militarmente al loro interno: perché non sarà più sufficiente fare la guerra fuori, ma dovremmo gestire anche le guerre civili interne. Questo è quello che secondo me porta a non mettere in discussione i bilanci militari e neanche i bilanci delle forze di sicurezza, per quanto in Italia si stia risparmiando perché tanto resta l’esercito e non serve la polizia. Questo è il problema peggiore per noi.

Abbiamo visto cosa è stato il controllo dell’evento di Fukushima, la Val di Susa è già gestita militarmente, le discariche sono già gestite militarmente, l’immigrazione etc. Hanno già la loro soluzione che è ancora più distruttiva perché si aggiunge a una situazione già distruttiva di per sé. Ma non hanno nessuna intenzione di cambiare modello ma di potenziare quella attuale che ritengono inadeguata per grado di qualità, perché insufficiente, non perché sbagliata.

Il fatto che l’ultimo libro di Luca Mercalli si intitola Prepariamoci, dopo anni in cui ci dava consigli su come evitare la catastrofe, mi fa pensare che abbia lasciato da parte la grande illusione che la catastrofe sia inevitabile. La catastrofe non è evitabile, è già in corso e non è neanche qualcosa da attendere. Perchè anche questo fa parte dei nostri processi di percezione, noi spostiamo in avanti.

Notate i discorsi di Napolitano, molto stimato perché ha un grande effetto di rassicurazione sociale (che ci porterà al baratro), siamo sempre “sull’orlo del baratro”. Ma quanto è grande questo “orlo del baratro”? Ancora non ce l’ha spiegato nessuno. Quando inizia il baratro? Questa è la domanda che rivolgerei al Presidente della Repubblica perchè ricorda, come diceva Slavoj Žižek su Internazionale qualche settimana fa, quel personaggio dei fumetti che continua a correre per qualche secondo per aria …. Noi siamo li! Non siamo sulla rupe, stiamo pedalando nell’aria e i corpi non stanno sospesi a lungo è solo nei fumetti che quando cadi poi resusciti.

Il punto secondo me è questo: arrivare a prendere coscienza delle catastrofe. Assumere la catastrofe come dato di fatto. E’ molto meglio accettare che sia alle nostre spalle piuttosto che continuare ad attenderla. Questo è il primo tentativo che si sta provando a fare in questo mondo di pensare. Per cui cercare di trovare un equivalente… Gandhi diceva che “la non violenza è l’equivalente morale della guerra”. Ecco, la valenza delle catastrofi è l’equivalente morale della shock economy nel senso che oggi i grandi finanzieri i grandi economisti i grandi produttori già agiscono come se la catastrofe fosse in corso. Cioè la grande parte dell’economia attuale già si prepara e sta gestendo la catastrofe e trae profitti dalla catastrofe. Quindi i nostri avversari (chiamiamoli così) stanno già vivendo così. Se i ghiacci artici si sciolgono che problema c’è? Possiamo accorciare le rotte marittime.

La shock economy è già in questa dimensione per cui data per assodata la catastrofe e prova ad usarla economicamente per fare profitto. Il problema è che noi dobbiamo aspettare che accada, e quindi non saremo mai pronti! Bersani non sarà mai pronto, non lo capirà mai quando è arrivata, non ce la farà.
Anche la gestione militare della catastrofe in corso è già in atto. Se leggete gli ultimi documenti del Pentagono, il Pentagono sta affrontando la questione ambientale come questione da gestire militarmente. Per cui siamo noi a non essere adeguati in questo momento, nel senso che continuiamo a pensare che la catastrofe sia qualcosa che deve ancora avvenire.

Quello che Kuhn chiamava la “rivoluzione paradigmatica” o “apprendimento due” (“apprendere ad apprendere”) in alcuni testi di psicologia (Bion) vengono chiamati “cambiamenti catastrofici”.
Il “cambiamento catastrofico” in Bion è sempre ambiguo. Da un lato è una fase di crisi totale dell’Ego, una spogliazione assoluta, ritorno alla sobrietà, catastrofe anche etica dell’Ego. L’Ego rimette in discussione i sui paletti più fondamentali ed è disposto a spogliarsi di tutte le sue certezze. Però, questo è visto anche come cambiamento evolutivo, cioè è il passaggio da uno stato x ad un altro in cui avvengono cambiamenti che possiamo definire come “dis-apprendimento ecologico”.

Il vero problema, oggi, è che noi dobbiamo disapprendere, siamo disponibili a disapprendere ecologicamente? Questa è la domanda fondamentale. Il tema quindi non è più scienza, più tecnologia o più razionalità ma quale razionalità quale scienza, quale tecnologia ci permette di uscire dai modelli precedenti e di pensare diversamente il nostro modo di stare nel mondo.

Su questo concludo con un concetto che riprendo da Paolo Virno, Esercizi di esodo (Ombre Corte, 2002) un cui prende un tema francese l’esprit de l’escalier.
L’esprit de l’escalier è il tempo del futuro anteriore (è un’espressione in uso anche in Italia dalla fine del XIX secolo che identifica quella particolare situazione nella quale una frase che si sarebbe voluta usare come replica immediata e vincente a una provocazione verbale, alla quale non si è saputo dare adeguata risposta, arriva in ritardo, quando si è ormai “sulla scala” ed è troppo tardi per usarla).

Viviamo come se la catastrofe in corso fosse già accaduta il tempo è quello del futuro anteriore, dobbiamo uscire dal futuro semplice, e incominciare a stare nell’io sarò stato nella catastrofe.
Lui dice: «siamo pervasi da ciò che i francesi chiamano esprit de l’escalier, lo stato d’animo retrospettivo sperimentato a serata finita per le scale appunto, quando ormai è troppo tardi. Ebbene il futuro anteriore è lo strumento grammaticale per esprimere fin da subito, prima ancora che la serata abbia inizio, l’esprit de l’escalier, di cui sapremo appena dopo, a cose fatte, sarò stato inadeguato o avrò colto l’occasione di una vita?.

Questo tema in Francia è abbastanza forte perché tutti gli studiosi di apocalisse francesi, o molti, che ho letto lavorano molto su questa idea del futuro anteriore. Per esempio in Jean-Pierre Dupuy nella Piccola metafisica degli tsunami (Donzelli, 2006) è molto presente questa idea di lavorare riprendendo un testo di Anders come se la catastrofe fosse già alle nostre spalle. Jacques Attali, per esempio, ha lavorato sulla Breve storia del futuro (Le Terre, 2007) come se fosse già tra noi. O per esempio l’“Università del disastro” di Virilio in cui propone un università in cui si lavora su catastrofi già avvenute o in corso. Università che lavorano sul concetto di disastro per starci dentro e viverlo. Secondo lui, stare a livello del disastro dovrebbe essere il ruolo attuale dell’università.

Dico questo perché questo tipo di cultura è più interessante per me in questo momento rispetto alla cultura italiana che o è passatista o sta nell’eterno presente. Concludo: «poiché si addossa per un istante il rammarico o il compiacimento che forse proveremmo molto più tardi, il futuro anteriore consente di scegliere in anticipo quante possibilità alternative coesistano ancora impregiudicate mentre ci si reca in casa di amici». Funziona come nella logica, funziona la contro deduzione fattuale. Cioè, e se l’acqua bollisse a 80°C? Cioè faccio delle domande alternative sulla situazione per arrivare a risposte alternative perché se noi restiamo nel nostro status mentale, la creatività o è divergente o non è creatività. Non esistono creatività non divergenti. Piaget diceva “se gli americani fossero intelligenti non avrebbero inventato la parola “creatività”».
Guarda caso il rapporto tra Europa e Stati Uniti è una questione molto importante, forse ci fregheranno ancora una volta e andranno in crisi dopo di noi ma sono sicuramente molto più stupidi di noi, il problema degli americani non è Bush.
«Collocandosi nell’attimo in cui dilagherà l’esprit de l’escalier il “sarò stato” censisce i decorsi divergenti che ora ci stanno d’innanzi, traduce l’acidulo “si sarebbe potuto” in un più decente “si potrebbe”. Riabilita per tempo quelli che in seguito rischiano di figurare come futuri perduti. Ciò che vale per la festa conviviale vale a maggior ragione per ogni gesto politico radicale, per ogni condotta pubblica che strida con l’ordinamento statale. L’esprit de l’escalier, il futuro anteriore che se ne fa carico preventivamente, impediscono la compilazione o la storia in cui ogni tappa successiva sia spacciata per necessaria e inquestionabile. »

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